Il Centro Oculistico Quattroelle è nuovamente operativo nel rispetto di tutte le norme di sicurezza necessarie.
Il Personale Medico e di Assistenza è provvisto di adeguati dispositivi di protezione personale e procede regolarmente con la disinfezione di tutto il materiale diagnostico prima e dopo ogni visita.
Un comportamento corretto e rispettoso dei pazienti e del personale è fondamentale per accedere serenamente ed in sicurezza alle prestazioni.
Con il termine distrofia corneale s’intende un gruppo assai eterogeneo (soprattutto per la prognosi funzionale, che varia dagli effetti minimi sulla capacità visiva fino alla cecità) di malattie non infiammatorie, in genere bilaterali, simmetriche e lentamente progressive, su base genetica (ereditaria), che colpiscono i vari strati della cornea, senza associarsi a lesioni di altri organi o a sintomatologia sistemica o a fattori ambientali.
Nonostante la sua imprecisione, tale definizione, eminentemente clinica, continua ad essere utilizzata in mancanza di sostituti adeguati. Inserite da sempre nella categoria delle “malattie rare”, la prevalenza delle distrofie corneali è variabile e poco conosciuta, verosimilmente a causa della mancanza di report, catalogazioni e registri adeguati.
La classificazione classica si basa sulla sede anatomica (lo strato corneale) interessata all’anomalia (Figura 1) e distingue tre gruppi di distrofie corneali:
In caso di erosioni ripetute e/o perdita di trasparenza della cornea, spontanee e bilaterali, in età giovanile (sotto i 20 anni) e qualora siano presenti altri casi in famiglia, la diagnosi è eminentemente clinica e si basa sull’età giovanile di esordio e sull’aspetto biomicroscopico della cornea (lampada a fessura).
In caso di terapia sostitutiva (trapianto di cornea), l’esame istologico (mediante microscopia ottica e/o elettronica a trasmissione) del tessuto corneale è in grado di sottotipizzare la distrofia specifica.
La classificazione più moderna delle distrofie corneali, proposta dall’International Committee for Classification of Corneal Diseases (IC3D) nel Dicembre 2008, si fonda anche sulla modalità di trasmissione eredo-famigliare (autosomica dominante, autosomica recessiva o recessiva legata al cromosoma X, riservata cioè al sesso femminile) e prevede l’identificazione delle mutazioni genetiche responsabili attraverso test specifici di analisi molecolare, anche se non tutti i geni coinvolti sono stati individuati.
Una consulenza genetica mirata è dunque possibile in epoca prenatale, anche se sovente manca la giustificazione etica, dato che si tratta di patologie spiacevoli ma con normali aspettative di vita.
La classificazione, che organizza in maniera schematica anche gli aspetti istologici (microscopia ottica ed elettronica) e quelli osservabili con la microscopia confocale, distingue 4 categorie di distrofie corneali:
Da notare che gli stessi esperti dell’International Committee for Classification of Corneal Diseases ammettono una certa flessibilità nella classificazione.
Con l’evolversi delle conoscenze genetiche, infatti, buona parte delle distrofie corneali è destinata a diventare categoria 1, mentre altre scenderanno dal rango di entità separate a quello di semplici varianti, com’è accaduto di recente per la forma discoide centrale, che dalla categoria 4 è stata riclassificata come sottotipo della distrofia di Schnyder.
La scoperta di oltre 30 mutazioni diverse a carico del gene TGFBI (transforming growth factor beta-induced) come cause comuni delle distrofie granulari e reticolari ha motivato un raggruppamento congiunto delle forme.
Nonostante possa sembrare inequivocabile in molti casi, la diagnosi differenziale può presentare difficoltà significative, quando mancano ad esempio i tipici elementi di contesto (famigliarità, età di esordio, aspetto atipico) e si pone con malattie e sindromi sistemiche, anch’esse rare, in cui bisogna identificare le lesioni a carico di altri organi e coinvolgere altri specialisti, come:
Esistono diversi tipi e forme di distrofia corneale, ognuna con le proprie caratteristiche: